"Estremizzare è lecito, se il risultato finale è in equilibrio." Fausto Andi
Scardinare i dogmi del vino classico è molto semplice se si prende ispirazione da un concetto che non va a eliminare i difetti, ma trova un perfetto equilibrio tra i tantissimi pregi e i pochi difetti di un prodotto, questi stessi difetti non saranno tali perché saranno fondamentali nell'equilibrio del tutto.
In una degustazione classica diventa abbastanza facile distinguere gli elementi del vino; questo nasce dal fatto che sono molto distinti e individuabili singolarmente:
- Corpo
- Struttura
- Alcolicità
- Freschezza
- Acidità
Il vero goal di un produttore di vino come Fausto Andi è creare una perfetta armonia tra gli elementi.
- Più un vino diventa vecchio più è fresco (per il mondo giovane)
- Corpo e struttura sono talmente in simbiosi da diventare immediati, armonici
- L’alcolicità e gli zuccheri residui si integrano e non sono più percettibili
- La stabilità acida è quasi assoluta
Parliamo di vini contraddistinti da una grande setosità legata alla grande struttura, all'alcolicità e al dolce non più percettibile. Vini pensati per essere eterni, vini che ad oggi sono straordinari da bere, ma che esprimono solo il 20-30% del loro potenziale e che saranno perfetti fra 10 anni.
Cosa vuol dire produrre vini metodo classico non dosato?
Facciamo prima chiarezza su un punto importante nella produzione di spumanti e Champagne.
Come si ottengono le bollicine di un vino?
- Metodo Classico: un sistema di spumantizzazione che si basa sul principio della rifermentazione in bottiglia. Il metodo classico è nato in Francia, nella regione nota come Champagne e famosa per il vino frizzante che porta il suo nome
- Metodo Martinotti/Charmat: da vini bianchi fermi. Dopo aver subito una prima fermentazione durante il normale processo di produzione, questi vini ne subiscono una seconda in autoclavi di acciaio a temperatura e pressione controllate, con l'aggiunta di lieviti e zucchero.
Se vi state chiedendo quale metodo sia meglio e quale peggio una risposta univoca non c’è.
Metodo Classico
- Vini che hanno bisogno di diversi mesi per esprimersi
- Evoluzione nel tempo
- Perlage più fine
- Solitamente è prevista una piccola/nessun aggiunta di zuccheri
Metodo Charmat
- Vini pronti nel breve tempo
- Vini fatti e finiti con scarsa evoluzione
- Perlage più grezzo
- Solitamente è prevista l’aggiunta di zuccheri
Oltre a differenziarsi per il metodo di spumantizzazione, possono essere classificati anche in base al residuo zuccherino.
- Pas dosé o dosaggio zero o nature: contenuto di zuccheri inferiore a 1 grammo/litro. Si tratta di vini ai quali non vengono aggiunti zuccheri in fase di dosaggio
- Brut nature: contenuto di zuccheri inferiore a 3 gr/l
- Extra brut: contenuto di zuccheri inferiore a 6 gr/l
- Extra dry: contenuto di zuccheri compreso tra 12 e 20 gr/l
- Dry o Secco: contenuto di zuccheri compreso tra 18 e 35 gr/l
- Demi sec o Abboccato: contenuto di zuccheri compreso tra 33 e 50 gr/l
- Dolce o Doux: contenuto di zuccheri superiore a 50 gr/l
Una maggiore attenzione alla qualità del prodotto spumante si traduce in una riduzione dei dosaggi nel corso del tempo che vanno a collocarsi tutti nella fascia bassa della classificazione, così facendo il produttore spoglia il vino di tutti i 'trucchetti' per renderlo più morbido e ruffiano.
Gli spumanti o champagne pas dosè sono nudi nei confronti del consumatore che è più facilitato nel sentire il terroir e la mano del vigneron, ovviamente ogni passo falso è fatale ed è necessario che tutte le fasi della produzione, dalla raccolta delle uve migliori fino all’affinamento, siano impeccabili.
Da questi processi nascono vini di grande espressione, verticali e dalla vivace acidità in bocca, frutto solo della massima espressioni del terroir, delle uve e del vigneron.
Se si è abituati a bere vini extra brut forse non sarà facile il primo approccio, ma il vostro palato si abituerà a notare le varie sfumature di questi vini si grande espressione e carattere.
Solforosa, contiene solfiti o non contiene solfiti? Questo è il dilemma!
L’anidride solforosa è una sostanza che migliora la qualità e prolunga la durata del vino.
Quali sono le dosi massime consentite?
Le dosi massime di anidride solforosa da aggiungere nel vino variano a seconda delle normative dei singoli Paesi. Nell’Unione Europea, il limite è di:
- 160 mg/l nei vini rossi
- 210 mg/l nei vini bianchi e rosati
Alcune Nazioni hanno introdotto delle modifiche a questa legge. Per esempio, in alcuni Stati Membri il limite si può elevare a 40 mg in più durante annate negative.
La solforosa è dannosa per l’organismo?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha esaminato i livelli di Anidride Solforosa accettati dall’organismo, stabilendo che la dose massima giornaliera è di 0,7 mg per 1 kg di peso; mentre quella letale è di 1,5 g/kg .
Queste quantità si modificano a seconda della persona: esistono infatti molti soggetti allergici all’anidride solforosa e anche in minime quantità possono provare dei disturbi di salute come emicrania, nausea, vertigini.
Perché i produttori di vino la utilizzano?
È antisettica: impedisce il proliferare della flora batterica. Ciò è particolarmente importante durante la fermentazione e la conservazione, quando l’anidride solforosa impedisce la nascita di micro-organismi, che potrebbero danneggiare il vino nel gusto e nel colore.
È antiossidante: La SO2 tiene sotto controllo l’ossidazione dei fenoli, tannini, alcool e altre sostanze aromatiche e coloranti.
Solvente: stimola l’estrazione di particolari sostanze che troviamo nelle bucce dell’uva. Per esempio, nei vini rossi l’anidride solforosa stimola la macerazione della buccia e questo dona il colore rosso al vino.
Perché alcuni produttori di vino artigianale hanno deciso di non usarla più o sempre meno?
Per la salute: anche minime quantità possono provocare dei disturbi di salute come emicrania o nausea. Nei casi più sensibili si verifica un immediato rossore e sudorazione.
Per la biodinamica: ci sono sempre più metodi di agricoltura biodinamica in grado di trattare naturalmente con ‘batteri buoni’ le uve e ottenere un prodotto in grado di autodifendersi con un’azione antiossidante nel tempo sia in botte che in bottiglia.
È ormai comune il dibattito del contiene solfiti - non contiene solfiti aggiunti. I solfiti infatti si trovano già nel vino perché derivati dalla fermentazione alcolica e quindi sarebbe scorretto dire che un vino non contiene solfiti, tuttavia sempre più produttori stanno scegliendo di non aggiungerne altri chimicamente al fine di ottenere un vino sempre più sincero, artigianale e salutare.